10 Mar

di Sergio Pelà

Alle iniziative della nostra biblioteca, grazie al regista Marco Belocchi e all’attore Paolo Ricchi, quest’anno, venerdì 9 marzo, se ne è aggiunta una che speriamo possa ripetersi: gli alunni delle quinte B, D, F e H hanno assistito alla rappresentazione di due “pezzi” pirandelliani, L’uomo dal fiore in bocca e La carriola. Il primo, secondo un procedimento abbastanza frequente nell’opera di Pirandello, nasce come racconto, per poi svilupparsi in un testo teatrale; il secondo è una delle Novelle per un anno, di quelle scritte in prima persona, in questo caso un vero e proprio monologo, adatto ad essere trasposto sulla scena.

Scena costituita dallo spazio davvero piccolo rimasto disponibile, una volta disposte le sedie della “platea” improvvisata in biblioteca. Quasi tutto il resto è stato evocato dalla bravura dei due attori, dalla loro straordinaria performance, come giustamente l’ha definita uno dei nostri studenti. All’aspetto, per dir così, moderno della performance bisogna però dire che se ne è aggiunto un altro non meno rilevante: Belocchi e Ricchi hanno saputo trasformare la pressoché totale mancanza di un allestimento in una risorsa, e riportato il teatro alle sue origini. Se vogliamo quelle greche, quando la scena era nuda, o perlomeno quelle del teatro elisabettiano, dove erano davvero poche le appendici e tutto era affidato al potere della parola, ai versi e agli attori che li recitavano. Il che non poche volte ha fornito, per esempio a uno Shakespeare, l’occasione di scrivere versi memorabilmente descrittivi.

Pirandello ha cominciato a scrivere testi drammatici nella piena voga del teatro naturalista e soprattutto borghese, quando appunto si rappresentavano realisticamente le inquietudini, lo scontro con le consuetudini sociali, maturati fino all’avvizzimento nell’animo borghese. Come Pirandello abbia scardinato il teatro borghese è noto, per esempio nei Sei personaggi in cerca d’autore, dove alcune situazioni tipiche di questo teatro subiscono straordinarie forzature e conquistano le platee del mondo.

E dramma borghese è quello del protagonista della Carriola, alle prese con il contrasto tra “vita” e “forma”, più volte esplorato nelle elucubrazioni dei personaggi pirandelliani, dopo che un critico (Adriano Tilgher) in questi termini aveva messo a fuoco un aspetto importante dell’opera dello scrittore siciliano. Si tratta di un caso raro, quello di uno scrittore che, anche quando vuole discostarsene, di fatto accoglie alla lettera e sviluppa nella propria opera le definizioni di un critico.

La rivolta del protagonista della Carriola contro la “forma” che lo imprigiona è efficacemente patetica, solitaria e incomunicabile, tranne che per una vecchia cagnetta che ne costituisce il disorientato e occasionale strumento. L’articolazione dell’Uomo dal fiore in bocca è un poco più complessa, come ha notato uno dei nostri studenti, meno legata ai grandi temi pirandelliani e più vicina a quelli universali della condizione umana.

La maestria e la naturalezza con cui i due attori, a neanche tre passi dal loro pubblico, hanno rappresentato questi due testi pirandelliani è stata confermata, alla fine dello spettacolo, dalle domande dei ragazzi della quinta F, tutte incentrate sul lavoro, la tecnica, il modo con cui si raggiungono risultati così notevoli nell’arte della recitazione.

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