Il suo sogno stava per diventare realtà: finalmente avrebbe rivisto sua madre. Dal finestrino dell’aereo si scorgevano le luci e le strade di quella città sconosciuta. Era molto agitata e le mani le tremavano, non solo per l’emozione, ma anche perché il viaggio non era stato gradevole: aveva pianto chiedendosi se sarebbe riuscita ad adattarsi in un ambiente di cui non conosceva niente, neppure la lingua. L’aereo atterrò con qualche ora di ritardo, i passeggeri si sparpagliarono tra la folla che riempiva l’aeroporto. Gli occhi di Marisol erano pieni di curiosità, non volevano perdere nessun particolare di quel gigantesco aeroporto. Come quelli che aveva visto solo nei film: la gente si accalcava agli sportelli, chi per il check in, chi per chiedere con impazienza informazioni, come succede in ogni aeroporto del mondo, sul bagaglio smarrito; c’era chi aspettava di imbarcarsi, di fronte agli schermi che mostravano le partenze, e chi aspettava amici o parenti che sarebbero arrivati di lì a poco. La cosa che però colpì di più Marisol fu la visione di tutti quei negozi e ristoranti che facevano somigliare l’aeroporto a una piccola città.
Così, dopo un’altra ora di viaggio verso la sua nuova casa, si fece l’idea che tutto sarebbe stato molto più facile, perché ora poteva godersi e conoscere meglio sua madre, che l’aveva lasciata quando era piccola per venire in Italia. Sua madre era stata molto coraggiosa e ferma nella decisione di allontanarsi dai suoi figli per poter lavorare e dare loro una vita migliore di quella che aveva avuto lei.
Il tempo trascorse in fretta fino a quando arrivò il fatidico primo giorno di scuola. Era ottobre e i raggi del sole non riscaldavano più come prima. Un venticello freddo soffiava in una delle città più belle d’Europa e anche nel cuore di Marisol, che era molto nervosa e temeva di non farcela. Quella mattina sua madre l’accompagnò fino dentro la scuola e chiese ai professori di avere un po’ di pazienza con lei, perché non parlava l’italiano e capiva giusto il necessario. Marisol entrò in classe molto intimidita e, come se non bastasse, in ritardo; il professore di tecnologia la fece accomodare vicino a uno dei ragazzi più bravi della classe, per aiutarla a mettersi in pari con le lezioni visto che la scuola era iniziata da circa un mese. Il complesso scolastico era veramente molto grande, diviso in tre parti: l’edificio per il biennio, quello per il triennio e quello della presidenza e della palestra; il cortile ospitava un campo da calcio e uno da basket; inoltre erano presenti diversi laboratori che permettevano di approfondire le materie tecniche. Tutto sommato una gran bella scuola.
Così cominciarono a passare i giorni scolastici, a volte molto in fretta e a volte molto lentamente. Marisol fece amicizia con alcuni ragazzi, ma soprattutto con una ragazza della sua classe che nel suo pensiero definì completamente diversa da sé, ma non le importava: la loro sarebbe stata una stupenda amicizia. Cercavano di aiutarsi a vicenda. Serena era una ragazza chiusa e riservata e alcuni ragazzi certo non l’aiutavano facendo battute sgradevoli contro di lei, che continuava a stare in disparte. A Marisol questa situazione non piaceva. Cercava di spiegare alla sua amica che se la gente aveva dei pregiudizi verso di lei era perché, senza rendersene conto, si lasciava dominare dall’invidia e dall’ignoranza. Marisol era molto contenta di questa nuova amicizia e ne aveva parlato anche con sua madre, perché in quel periodo lei e Serena erano le sue uniche amiche. Per Marisol non era ancora facile vivere in quella città – Roma – piena di storia, luoghi e abitudini diversi da quelli che conosceva. Non era nemmeno facile fare amicizia con ragazzi più furbi e spigliati di lei. A dire il vero la sua vita aveva fatto un giro di 360° e questo di sicuro l’aveva molto turbata: infatti prima di allora non si era mai allontanata di casa e, vista la sua giovane età, non era abituata a frequentare gente completamente estranea. Tutto era così diverso! Per poter vivere serenamente, doveva cambiare atteggiamento e rendersi più versatile.
A volte si chiudeva in bagno a piangere e a ripetersi che non ce l’avrebbe fatta e che il sacrificio di sua madre era stato inutile perché lei non se la sentiva di continuare ad andare avanti così; era molto triste e lo si leggeva nei suoi occhi, che fino a qualche mese prima brillavano della felicità di aver ritrovato la madre. A Marisol interessava solo essere felice, essere accettata da tutti, riuscire a dare il meglio di sé e rendere orgogliosa la sua famiglia.
Purtroppo non sempre le cose vanno come vogliamo e cominciarono le difficoltà. Una sera Marisol, con i suoi amici, visse un episodio molto sgradevole: un paio di ragazzi si avvicinarono usando parole offensive verso Serena, che non gli aveva fatto niente di male, l’unico suo problema, se così lo si può chiamare, era di essere molto brava a scuola, e di conseguenza passare per una “secchiona”, oltre ad avere un colore di capelli diverso da tutti gli altri, rosso fuoco, una caratteristica che la rendeva unica e, inspiegabilmente, la penalizzava. La prendevano spesso in giro, la facevano star male. Anche se Marisol cercava in tutti i modi di tirarla su, sapevano entrambe che non sarebbe stato facile dimenticare quella brutta serata, che aveva condensato tante brutte impressioni sparpagliate nel tempo.
Marisol non riusciva a far sorridere la sua migliore amica. Doveva pensare anche ai problemi che stava avendo in famiglia, con sua madre: dopo il primo entusiasmo di incontrarsi di nuovo, c’era nervosismo, litigava spesso con lei e non riusciva a farle capire che aveva bisogno di tempo per abituarsi alla sua nuova vita, era difficile pensare che sarebbe rimasta per un po’ di anni senza vedere né sentire il resto della famiglia e i suoi amici. Col passare del tempo la situazione non cambiò. Marisol si sentiva sempre più diversa, non era più la stessa, ora sapeva cosa vuol dire cadere in depressione: non riusciva a tirarsi su, non era più capace di trovare qualcosa di buono e interessante nella vita, che di colpo sembrava inutile. La sua unica speranza era quella di andarsene lontano e non tornare mai più. Ma dove? A Roma non c’era nessuno che potesse aiutarla a tornare a casa, quindi fuggire avrebbe voluto dire buttarsi verso l’ignoto… Era come se dei pensieri estranei stessero impossessandosi di lei… il suicido, la morte, le cose brutte che avrebbe potuto fare per liberarsi di quella angosciante sofferenza… E allora sua madre capì che non stava più bene e decise di chiedere aiuto a degli psicologi. Marisol accettò l’idea di incontrare una volta alla settimana delle persone capaci di aiutarla. Sì, la facevano stare bene, perché la ascoltavano, le davano buoni consigli; ma, quando parlava della sua famiglia e delle brutte litigate e situazioni che aveva dovuto affrontare in Bolivia pur di vedere suo padre almeno una volta al mese da quando i suoi genitori si erano separati, i suoi occhi si riempivano di lacrime, la sua voce si incrinava, rivelava una grande paura. Marisol si sentiva responsabile della separazione dei suoi genitori. Ogni volta che gli psicologi le chiedevano perché, lei scoppiava a piangere e non riusciva a raccontarlo; loro dicevano che aveva subito una specie di trauma e che la paura non le permetteva di vedere le cose diversamente da come se le dipingeva. Le chiedevano spesso di venire con la madre, ma lei si rifiutava, era convinta che non l’avrebbe mai capita, diceva che aveva perso fiducia in sua madre e che queste cose avrebbero solo peggiorato la loro situazione; forse aveva ragione, o forse era proprio lei stessa a non capire cosa era veramente successo nella sua famiglia. Con il passare dei mesi, ci fu una schiarita nei suoi pensieri. Marisol era molto più tranquilla e finalmente convinta che i suoi problemi familiari non dipendevano da lei, era stata solo una vittima di quello che era successo, bisognava buttarsi tutti quei brutti pensieri alle spalle. Finalmente in Italia si sentiva come a casa propria. Aveva nuovi amici e la tristezza non le velava più lo sguardo. Tutto filava liscio. Fino al giorno in cui si rese conto di poter esser vittima di atteggiamenti razzisti: era riuscita a dimenticare l’episodio vissuto un paio di mesi prima con la sua amica Serena, ma questa volta era anche peggio, questa nuova discriminazione era arrivata da una persona vicina a lei, della quale non avrebbe mai pensato che fosse così ignorante da poter dire certe cose. Alle sue spalle. Marisol venne a sapere che questa persona aveva espresso un giudizio davvero cattivo su di lei, e si chiedeva perché l’avesse fatto, non riusciva a credere che la stessa persona che la salutava tutte le mattine avesse detto un cosa tanto orribile. Si confidò con una sua amica, ma comunque non riuscì a stare tranquilla; però decise di non fare niente, di lasciar perdere l’ignoranza e la stupidità di chi non si rendeva conto dell’effetto che possono fare certe umiliazioni se siamo noi a subirle e non gli altri. Non fece che piangere di nascosto, senza consolazioni, perché nessuno avrebbe capito il suo dolore, doveva accettare che quella ferita rimanesse aperta per molto tempo nel suo cuore.
Una mattina il sole splendeva più del solito, i suoi raggi erano molto caldi, e anche se il freddo era tagliente e intenso, a Marisol sembrava una giornata di luglio, era nervosa perché aveva conosciuto un ragazzo che subito le era sembrato molto carino e simpatico. Il loro incontro era stato quasi inevitabile, frequentavano la stessa scuola. Anche se non erano mai stati amici per la pelle, Marisol aveva saputo che un paio di anni prima lui aveva manifestato un certo interesse nei suoi confronti, senza mai avere il coraggio di dirglielo. Decise di ricambiare quell’interesse. Dopo aver parlato svariate volte al telefono, si diedero appuntamento all’uscita della scuola; ecco perché quella mattina Marisol era così agitata. I due ragazzi s’incontrarono e andarono a fare una passeggiata, lei si sentiva in imbarazzo e Sergio cercava di tranquillizzarla; comunque decisero che intanto avrebbero cominciato a frequentarsi, e che il tempo avrebbe deciso per loro. Divennero così una coppia stabile. Marisol presentò Sergio alla sua famiglia e lo stesso fece lui; le due famiglie erano contente della loro relazione: lui era un bravo ragazzo italiano, molto gentile con lei e con i suoi.
La loro storia continuava ad andare avanti tra alti e bassi, tra poco avrebbero dovuto affrontare gli esami di Stato, quindi cercavano di aiutarsi. Marisol si sentiva allegra, la vita in Italia le aveva dato tristezza ma anche felicità. Ora aveva un rapporto tranquillo con sua madre, non sentiva quasi più il peso di essere un’emigrante alla ricerca di un’integrazione forzata. Insieme al suo ragazzo, prese il diploma. Si iscrisse alla facoltà di scienze infermieristiche. I suoi sogni si stavano realizzando. Aveva trovato un bel lavoro che le permetteva di pagarsi gli studi e di vivere indipendentemente. Sapeva di aver reso orgogliosa sua madre. Se fosse riuscita a formare una famiglia con la persona che amava e che le aveva insegnato a sorridere alla vita, tutto sarebbe stato perfetto. Un lieto fine, ma soprattutto un grande inizio. Infatti, dopo la laurea in infermieristica si sposò con Sergio, il suo “vecchio” e “nuovo” amico, che le aveva insegnato a non badare ai pregiudizi che certa gente ha verso gli stranieri. Ogni tanto incontrava Serena, insieme ricordavano ridendo le paure che avevano avuto a sedici anni. Marisol nemmeno nella felicità scordò le sue radici, la sua terra delle origini, né i principi che l’erano stati insegnati quando era bambina; ma soprattutto tenne a mente la gratitudine verso un paese che l’aveva accolta e le aveva dato la possibilità di diventare una persona completa, capace di tirar fuori il meglio di sé e di scegliere, senza fretta, fino a dissolvere nell’amore ogni incertezza. Io, non solo professionalmente, come psicologa, sono orgogliosa di lei. Le nostre chiacchierate di due ore alla settimana hanno trasformato una ragazza timida e insicura in una splendida donna, con i piedi per terra, eppure capace di sognare anche nella sua nuova famiglia.
Carolina Chumacero Zambrana
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